Il signor Blue

Il signor Blue non rammentava il giorno in cui aveva cominciato a camminare.
Ricordava solo di esser alzato da quella sua sedia a dondolo e di esser uscito di casa lento ma costante.
Cribbio, era come se le gambe gli fossero aliene, come se avessero una propria volontà e lui ne fosse del tutto estraneo.
Così quel giorno aveva percorso Fulton Street pensando che avrebbe smesso di camminare, poi era uscito dalla contea pensando che avrebbe smesso di camminare, poi era uscito dallo stato pensando che avrebbe smesso di camminare.
Ma niente, più riteneva di esser al capolinea più quei suo arti lo spingevano più in là. Ed ancora un pò più in là fino al capolinea, quella linea che vedeva da distante sfocata dal caldo di quelle giornate e poi dal gelo di quegli inverni. Eppure, la linea, era sempre più lontana, visibile ma così precaria che anche solo un sospiro l'avrebbe spazzata via.
Ed intanto l'uomo che nella vita aveva amato così tanto la tranquillità ed il tepore della propria dimora da non uscirvi quasi mai continuava la lenta agonia verso la sua metà impossibile spinto da quelle gambe ribelli.
Il signor Blue avrebbe pensato di esser morto, che tutto fosse un sogno, no, un incubo. Ma i piedi, quando finì la suola delle scarpe presero a fargli male ad ogni passo. Ogni passo e coltelli affilati gli entravano nelle carni ed il signor Blue si lamentava e per la strada, qualcuno si girava ad osservarlo per poi cambiar direzione. Nessuno avrebbe mai capito quanto grave fosse la situazione, quanto fosse stancante quel vagare senza una meta.
Poi un giorno, quando il signor Blue ormai si era rassegnato a quella vita in movimento ed a quei dolori ai piedi le sue gambe smisero di muoversi e cadde a terra su quel duro asfalto.
Ciò che seguì gli sembrò molto strano, ma, in ogni caso non ebbe modo di raccontarlo a nessuno
Dopo tutto quel vagare dotato di quell'energia apparentemente inesauribile si spense. Non emise nessun suono, non ne ebbe il tempo, fu tutto troppo improvviso.
Il signor Blue morì su quella strada del New Jersey a sei stati di distanza da casa sua.
Una distanza ricoperta a piedi.

Drugo Lebowsky VS Paul Auster

Stai per entrare in una valle di lacrime, una valle di lacrime...

Sai, gli disse lo sconosciuto, è come buttarsi giù per un fossato: non sai mai dove può finire.
Buttler si voltò guardandolo serioso.
Poi si rigirò puntando nuovamente la pistola nella direzione del commesso.
Avrebbe premuto quel grilleto, per dio, l'avrebbe fatto e ne sarebbe stato fiero. Non capita tutti i giorni di far secco un commesso con l'acne.
Poi però si fermò quasi poco convinto delle proprie idee come se una volontà aliena gli si fosse conficcata nel cranio.
Corri, cazzo, hai gli sbirri alle calcagna, gli disse la voce.
Era una voce atona, persuasiva e fastidiosa. Cribbio se era pazzesco sentire qualcuno che ti bussa alla testa per dirti come diventar un buon samaritano.
Si rigirò di nuovo verso lo sconosciuto, l'uomo distinto alla sua destra.
Cazzo, esci dalla mia testa o ti faccio saltare le cervella, gli disse e fu covinente come solo Buttler il guercio sapeva essere.
Aveva un solo occhio, il ragazzo, ma giuro che da quello sputava fuoco.
Ehi, calma amico io sono qui come potrei esser nella tua testa, me lo dici? gli rispose mantenendo la calma.
Era un uomo buffo, a suo modo, tutto abbottonato, serio anche in quel momento così tragico.
Sarebbe stato bello fargli saltar la testa per vederne l'effetto.
corri, cazzo, hai gli sbirri alle calcagna rinforzò la voce nella sua testa.
Esci dalla mia testa gli gridò Buttler il guercio con tutta la voce ed il coraggio che aveva in corpo.
Esci da questa tes...
Non finì la frase ma prese la pistola e si sparò all'altezza della tempia.
Nè il commesso nè l'uomo distinto parlarono ma si scambiarono occhiate sconvonlte.
Uno dei due, ora non ricordo bene chi, per poco non pianse.
L'altro, ad ogni modo, rise.
Buttler il guercio si era sparato con una pistola finta.
Tutto quel vociferare sul spaccare teste e cervelli era una finzione.
Poco a poco gli scaffali della drogheria presero a sparire come cancellati da una gomma invisibile.
Per primo sparì l'uomo distinto, poi il commesso.
Rimase solo Buttler il guercio nella sua camicia di forza, nella sua stanza di quella cella di Sing Sing.

Per Mickey era una tortura andare in quella scuola.
Seriamente avrebbe preferito farsi bruciare le piante dei piedi o farsi fare lo scalpo da un diavolo di Sioux piuttosto che metter piede in quella baracca.
Starò meglio da morto, diceva il signor Norton. Ma si sà, il signor Norton era matto. Ma proprio fuori come un cavallo. Per chi non lo sapesse, s'intende, il signor Norton era il preside.
Ti darò fuoco prima di quanto tu possa pensare, rimuginava il ragazzotto.
Mickey voleva bruciarla quella baracca. voleva farlo per cancellare il passato, ma non l'avrebbe fatto; non era pazzo.
Il pensiero però era sempre lì in quell'angolo della sua mente che era ormai come un ripostiglio dei brutti propositi.
Avvelenare il gatto
Rubare i soldi al compagno
Bruciare la baracca
Ma prima o poi, si diceva Mickey, sarebbe uscito da quella scuola. Ed allora, in quel preciso istante in cui avrebbe messo piede fuori sapendo di non dovervi tornare dentro il cattivo pensiero sarebbe sparito.
Intanto le giornate passavano grigie. E mickey rimaneva seduto al suo banco nella prima aula del terzo piano.
Mesi, anni, decenni.
Poi un tempo simile all'eternità.
Mickey era allo stremo ogni giorno di più, la fatica lo oberava come un peso insostenibile.
Poi quando esaurì la pazienza corse in bagno, il bagno più bello quello con lo specchio limpido.
Vi si specchiò.
Non pianse, non rise, non fece nulla.
Capì solo una cosa.
Non avrebbe mai più abbandonato quella scuola.
Lo capì dal suo volto nero di fuliggine.